La quarantena prosegue imperterrita e, almeno per ora, senza che se ne intraveda una fine vicina.
Il paradosso che va a braccetto con questa condizione di tempo espanso a dismisura è la pressoché totale mancanza di una concentrazione che vada oltre i cinque minuti netti.
Siamo solo noi a sperimentarlo o è un po’ così per tutti? Se la seconda, non ci resta che consigliarvi un’altra lettura agile ma indimenticabile, nata dalla penna di una Mis(S)conosciuta, con la quale suturare con soddisfazione le falle che si spalancano quotidianamente nei pensieri e negli atti di queste giornate eterne.
Il consiglio della settimana è Mrs. Caliban di Rachel Ingalls: prendete una casalinga americana anni ’60 profondamente delusa dal proprio matrimonio e con una ferita mai rimarginata nel suo passato. Ci siete?! Bene. Poi prendete anche un essere anfibio atletico, squamato e vegetariano sfuggito agli esperimenti dell’Istituto di ricerca oceanografica. Aggiungete un incontro inaspettato, un segreto custodito con circospezione, sesso molto appagante, un piano di fuga e, di nuovo, una delusione.
Detta così sembra la trama di un film (brutto) di fantascienza anni ’50 o un B-Movie anni ’70 con qualche accenno porno-soft extravagante ma è molto di più: è un libro che il British Book Marketing Council ha definito tra “i venti romanzi americani più importanti del Dopoguerra”, dato alle stampe nel 1982 e ripubblicato nel 2018 da Edizioni Nottetempo con la traduzione di Damiano Abeni.
Mrs. Caliban, che tematizza esplicitamente, fin dal titolo shakespeariano, l’irrompere inaspettato e necessario del sovrannaturale nell’ordinario e, dunque, il sovvertimento vitale di quest’ultimo, è una novella – o romanzo breve, se si preferisce – pervasa di delicatezza e tenerezza che si libra sul basso continuo d’una malinconia estenuante, di un senso di perdita annichilente, movimentati da stoccate umoristiche davvero spassose.
La storia di Dorothy e Larry, l’anfibio aitante, ingenuo, completamente diverso da tutto ciò che ci si potrebbe aspettare da una creatura aliena o simil tale, è quella di un amore assolutamente sui generis ma non per questo meno tesa, con tutte le forze, verso la liberazione: da una condizione di frustrazione – esistenziale e sessuale – quasi irrimediabile, per la protagonista, e da una cattività violenta – conseguenza di un certo cinico razionalismo scientifico squisitamente occidentale – per il suo drudo squamoso, che desidera tornare nel suo mondo, edenico e preverbale. Entrambi sognano di abbracciare una totalità di cui far parte: essa però non coincide, per i due, con la stessa realtà.
Questa ricerca pacata ma tenace della libertà di essere, in fin dei conti, quel che si è passa attraverso il piacere carnale, un trovarsi profondo e inspiegabile, al di là delle differenze di specie, e si traduce nel movimento del racconto che, gradualmente, si trasferisce dall’universo domestico – quantomai attuale! –, in cui la casa è al contempo nascondiglio di piaceri inediti e luogo di minaccia (quando rincasa il marito Fred, assente e fedifrago), al giardino, prima, alla strada, poi, e, infine, alla sconfinata distesa oceanica in cui Larry si immerge e scompare, con la promessa di tornare a prendere la donna, un giorno.
La manterrà? Non spoileriamo di certo perché questo libro merita di essere scoperto, così come la sua autrice, scomparsa nel 2019, artefice di un realismo dai tratti allucinati in cui emerge vivida “the tragedy of domesticity”, citando il The New Yorker. Un immaginario e una scrittura, quelli della Ingalls, che non possono non scuotere, seppur con gentilezza: a questa fantasia austera ma senza freni non è rimasto immune neppure Guillermo del Toro, che tanto deve a questo romanzo per il suo The Shape of Water.
La quarantena con Mis(S)conosciute: consigli di lettura #2

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