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Elizabeth Smart – il 5 episodio di Mis(S)conosciute

A colpirmi prima di tutto – prima ancora di quel lungo titolo scritturale che si fatica a memorizzare come poi a scordare, una volta appreso, prima ancora di sfogliare le pagine del volumetto e scoprire una prosa inusitata e sconvolgente – fu la copertina dell’edizione italiana di SE di quel libretto di un’autrice mai sentita nominare: un uccello, pare una rondine, dal ventre aranciato che, ancora in volo, appoggia un’ala al nido e la sua testa a quella di un rondinotto che da esso fa capolino.

Un’immagine fortemente poetica, quasi drammatica: quel gesto animale, per quanto languido, appare anche estremo, definitivo. La piccola testa dell’uccello è rivolta dalla parte opposta al nido, vigila sui pericoli che potrebbero mettere a repentaglio la vita del piccolo e magari di altri, nascosti in quel cono di paglia e rametti, e che forse hanno già spento la sua, che si conclude in una placida ma angosciante agonia. Che ne sarà di loro? Oppure quel planare e quasi avvolgere con l’ala il cucciolo è semplicemente un gesto di malinconica bellezza, che in qualche modo noi tutti abbiamo già vissuto.
La Natura, tenera e crudele, è sintetizzata a perfezione in questo acquerello del 1832 di John Hames Audubon che prelude a un’epopea indimenticabile.
Vidi per la prima volta il libello di Elizabeth Smart a casa della mia amica Elisa, a Milano, ormai sette o otto anni fa: glielo aveva regalato una signora amica, morta da poco, e quel libro era dunque un ricordo, custodito con affetto. Mi disse che parlava di una giovane donna, in America, che si innamorava, soffriva moltissimo e poi partoriva un bambino.
Lo acquistai qualche mese dopo in una libreria della mia città, Parma, e lo regalai a mia sorella, che si chiama anche lei Elisa. Credo non l’abbia mai letto ma quel dono era soprattutto un espediente: lo lessi io e Sulle fiumane della Grad Central Station mi sono seduta e ho pianto iniziò a germogliare in me, come un figlio, come un rampicante.
Dopo tanti anni, finalmente, con Silvia e Maria Lucia sono riuscita a raccontare la storia di questo libro e della sua autrice e spero che la sua scrittura possa conquistarvi e non abbandonarvi più, com’è successo a me, a noi.

Giulia

Il quinto episodio di Mis(S)conosciute è dedicato a colei che riteniamo la Mis(S)conosciuta per eccellenza: Elizabeth Smart.

La sua storia – biografica e letteraria – ci ha catturato per la complessità sfuggente che la caratterizza e che cerchiamo, in qualche modo, di restituirvi nel nostro racconto audio.

Provate a googolare il suo nome: presto vi troverete molto – ma molto! – fuori strada… capirete perciò che approdare a quest’autrice è stato un puro caso (di cui Giulia ha scritto qui sopra) ma, come spesso accade, da questo incontro aleatorio è nata una grande passione, una malìa.

Elizabeth Smart ha scritto pochissimo, in vita sua, ma tra quel poco c’è uno dei romanzi in prosa poetica più importanti del ‘900 anglosassone (e non solo): Sulle fiumane della Grad Central Station mi sono seduta e ho pianto.

La Smart, canadese d’origine e britannica d’adozione, è una figura affascinante e per certi versi bipolare: aristocratica, libertina, bohémien, scrittrice di scarsa fama, copywriter tra le più pagate della sua generazione, trascorrerà un lasso significativo della propria vita a struggersi e consumarsi per l’amore – parzialmente impossibile – per il poeta inglese George Barker, dal quale avrà 4 dei 15 figli dell’uomo, nati fuori dal vincolo matrimoniale.
Questo amore disfunzionale e complicatissimo, oltre ad avere plasmato fortemente la biografia dell’autrice (4 figli cresciuti senza padre non sono una passeggiata!), ha dato forma e slancio alla scrittura misconosciuta della Smart.
Sulle fiumane apparve nel 1945 riscuotendo la più totale freddezza di pubblico e critica per poi conoscere una rivalutazione inaspettata negli anni ’70, che guadagnò all’opera lo status di “cult”.

In Italia fu pubblicato nel 1971 con la traduzione di  J. Rodolfo Wilcock e la prima recensione che ne uscì fu a firma di Natalia Ginzburg che ne scrisse:

La cosa strana in questo romanzo è che vi sentia­mo ancora i pesi delle catene, la nebbia delle lagri­me, il disordine del dolore e il fluire liquido e transitorio delle giornate vissute e patite e non lasciate alle spalle. Ma su tutto si è stesa la struttura lineare, lim­pida, solida come le rocce e misteriosamente pura, ar­moniosa e impersonale dell’arte

(L’intera recensione merita davvero una lettura e la trovate integralmente a questo link)

Angela Carter la definì, non senza una punta polemica, una “Madame Bovary maledetta dall’illuminazione”: se la vicenda romantica, più che vagamente autobiografica, è la filigrana della sua scrittura, la sua lingua e il ritmo della sua prosa sono un fenomeno completamento inedito nel panorama letterario del suo tempo.

La Smart è visionaria soprattutto per la libertà con cui scrive: le Sacre Scritture, i romanzi d’appendice, la Natura tutta, nella sua terribilità, serpeggiano e fiammeggiano tra le righe del suo libello, in cui al massimo della trascendenza quasi mistica a cui l’amore dà accesso corrisponde l’apice della prosaicità, del “basso” che convive sempre e inesorabilmente con l’”alto”, ne è contrappeso fondamentale, in letteratura come nella realtà.

La sua storia personale e letteraria è quella di un grande talento troppo a lungo chiuso in un cassetto, soffocato dalle necessità pratiche derivate da una vita deliberatamente votata ad un amore fuori dai canoni: nella scrittura della Smart non c’è rimpianto ma malinconia, struggimento e soprattutto grande forza espressiva, grande capacità di visione.

In Italia è stato pubblicato anche il volumetto in prosa poetica L’assunzione di farabutti e mascalzoni mentre gran parte del pur esiguo corpus di opere dell’autrice (alcune raccolte poetiche e i diari) è ancora inedito.

Una storia personale e artistica sofferta, un po’ distaccata, sempre ironica.

Per tanti versi, indimenticabile.
Buon ascolto e buona lettura!

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